L’amministratore e l’assemblea non possono introdurre arbitrariamente divieti di accessi alle parti comuni
CASSAZIONE 12 GIUGNO 2019, N. 15851
Per la Cassazione, accertata la natura condominiale di una porta, non è consentito escluderne l’utilizzo per non essere tale ingresso previsto nel regolamento condominiale
In Condominio, non è ammesso un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni. Sbaglia, dunque, il giudice che non consente ai proprietari di accedere al condominio tramite una porta che, pur se parte comune, non è presente tra gli accessi elencati nel regolamento condominiale. Tale decisione, infatti, viola il loro diritto all’utilizzo delle parti comuni.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 15851/2019 (qui sotto allegata), pronunciandosi sul ricorso di alcuni condomini.
I proprietari avevano convenuto in giudizio l’ente di gestione del Supercondominio innanzi al giudice di pace di Milano per sentire disciplinare le modalità d’uso di una porta collocata sul lato sud del complesso condominiale, previo accertamento della qualifica di parte comune della stessa.
Il magistrato onorario, tuttavia, aveva ritenuto non concedibili le chiavi di detta porta ai condomini, in quanto era il regolamento condominiale a determinare quali fossero gli accessi.
Nulla da fare anche per il giudice del gravame, il quale evidenziava che, tra gli accessi indicati nel regolamento, non rientrava la porta in questione, coeva all’edificazione del complesso e tale da mettere in comunicazione con una striscia di terreno comune interclusa la quale, tramite una cancellata, confinava con l’esterno del complesso.
In sostanza, la sentenza impugnata ha ritenuto desumibile la non destinazione della porta in questione all’apertura come varco verso l’esterno dall’elencazione contenuta nel regolamento contrattuale degli accessi pedonali e carrabili al condominio, che non la contempla pur essendo coeva all’edificazione.
Ancora, secondo il tribunale, la non destinazione della porta ad accesso non avrebbe inciso sul diritto dei condomini a far pari uso della cosa comune, trattandosi di un mero divieto contrattuale di accesso generalizzato nell’interesse comune.
Condominio: non consentito un divieto di uso generalizzato delle parti comune
Tuttavia, per gli Ermellini la statuizione non è in linea con la giurisprudenza legittimità (cfr., ex multis, n. 2114/2018) secondo cui l’art. 1102 c.c. prescrive che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, salvo il limite della non alterazione della destinazione.
Ancora, precisa la Corte, non si tratta di una norma inderogabile, potendo detto limite essere reso perfino più rigoroso dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il “quorum” prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni.
Nel caso di specie, invece, la decisione del giudice d’appello ha concretato proprio l’introduzione di un siffatto divieto di uso generalizzato, peraltro attraverso una visione peculiare secondo la quale gli unici accessi a parti comuni sarebbero da ritenere quelli elencati nel regolamento.
Il giudice d’appello, in base all’interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, ha erroneamente ritenuto, in ragione di una malintesa tassatività dell’elencazione degli accessi pedonali e carrabili, doversi ritenere precluso l’accesso mediante la porta in questione, pur se parte comune. Tale esclusione, spiega la Cassazione, viola il diritto dei condomini all’uso delle parti comuni.
Legittimo l’uso della parte comune per creare un accesso a favore di parte esclusiva?
Il Tribunale, si legge nell’ordinanza, neppure si è soffermato in merito all’eventuale ricorrere, nel caso di specie, dei presupposti per cui l’utilizzo della parte comune per accedere a un fabbricato contiguo (nel caso di specie, adibito a box), estraneo al condominio, fosse tale da alterare la destinazione della parte comune ex art. 1102 c.c., comportandone (per la possibilità di far usucapire al proprietario del fabbricato contiguo una servitù) lo scadimento ad una condizione deteriore rispetto a quella originaria.
L’uso della parte comune per creare un accesso a favore di parte esclusiva è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 c.c., se l’unità del condomino avvantaggiata è inserita nel condominio, fermi gli altri limiti, in quanto, pur realizzandosi un utilizzo più intenso del bene comune da parte di quel condomino, non si esclude il diritto degli altri di farne parimenti uso e non si altera la destinazione, restando esclusa la costituzione di una servitù per effetto del decorso del tempo (cfr. Cass. n. 24295/2014).
In relazione a tali aspetti con la sentenza impugnata, invero, il tribunale si è limitato a descrivere la collocazione all’esterno del cancello, limitante la zonetta comune interclusa cui conduce la porta in questione, dell’edificio box, senza però alcunché argomentare in ordine al pericolo di formazione di una eventuale servitù, tale da costituire alterazione della destinazione dei varchi. Il ricorso dei condomini va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio.
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